Alcune riflessioni sulla guerra in Ucraina

1) Noi diamo un senso forte alla principio “fraternité”. Ci chiediamo: “Se il soldato che sta sull’altro fronte, se il “nemico” fosse mio fratello che cosa farei?” Probabilmente non lo uccideremmo né daremmo armi a qualcun altro perché lo uccidesse, ma cercheremmo altre strade per ricomporre il conflitto con lui.

Qualsiasi pensiero o azione che “di fatto” nega o contraddice la fraternità crediamo che sia male. Libertà, fraternità e uguaglianza sono valori che vanno insieme. Se la libertà diventa l’unico valore e principio si crea una società pericolosa, ingiusta e invivibile.

2) L’uccisione di uomini e donne è un atto di estrema gravità, di cui bisogna sentire tutto il peso. Noi pensiamo che sia sempre un male, una colpa. Siamo sconcertati e rattristati che si parli di guerra, resistenza, armi ecc. con leggerezza, in modo astratto e non per quello che ciò significa (morti, feriti, orfani, vedove, dolore, sofferenze di altri uomini, tutti “miei fratelli”).

3) Una guerra nucleare è il male assoluto. Distruggerebbe quasi certamente l’intera umanità e l’ecosistema Terra. Niente può giustificarla. Tutto ciò che può favorire una guerra nucleare è male.

4) “La libertà vale più della vita?” Alcuni intellettuali hanno posto questa domanda per concludere che per difendere la libertà si deve anche fare la guerra. Noi diciamo che sì, la libertà può valere più della vita, ma la vita di chi? Sicuramente posso sacrificare la mia vita per la libertà, ma è da discutere se ho il diritto di sacrificare la vita di qualcun altro.

Ho il diritto di uccidere qualcuno che mi vuole uccidere (legittima difesa), ma ciò resta un atto cattivo perché ho ucciso un uomo, mio fratello. E bisogna chiedersi se c’erano altre possibilità di salvare la propria vita senza toglierla a mio fratello.

Non crediamo che la legittima difesa valga anche per chi attenta alla libertà mia o di altri.

Non sappiamo i soldati russi che stanno combattendo in Ucraina (in gran parte giovani di leva) quanto possano essere considerati aggressori e quanto vittime, mandate a fare una guerra che non avrebbero voluto fare.

5) “Se un folle inizia a sparare all’impazzata uccidendo chi gli è a tiro si ha il dovere di ucciderlo”. Noi siamo convinti che la guerra in Ucraina non è paragonabile all’azione di un folle: è un conflitto che va avanti da 10 anni ed è un conflitto complesso, con molti attori in gioco e con ragioni e torti tra tutti i contendenti.

In Ucraina il 20% della popolazione è russa e il 30% parla solo il russo, il 65% è ucraino, ma circa il 10% parla solo ucraino. In una situazione del genere se un governo proclama l’ucraino lingua nazionale e cerca di impedire l’uso del russo non sta facendo qualcosa di saggio e di giusto ma sta buttando benzina sul fuoco degli attriti tra ucraini russi/russofili e ucraini che tali non sono.

Se gli USA si rimangiano l’impegno a non fare entrare nella NATO i paesi ex-sovietici e mettono missili nucleari in Polonia non è folle che la Russia si preoccupi e cerchi di impedire che ciò avvenga.

Se si agita il nazionalismo per distrarre i cittadini dalla grave crisi economica che attanaglia l’Ucraina dopo il crollo dell’Unione Sovietica e si finanziano gruppi armati ultranazionalisti e neonazisti che rendono impossibile la vita alla popolazione russa dell’Ucraina, in particolare delle regioni a maggioranza russa, tanto che un milione di russi abbandona il Paese in cui è nato e vissuto (l’Ucraina) per trasferirsi in Russia, si sta lavorando per far scoppiare una guerra.

Questo per dire che i torti non sono tutti dalla parte della Russia (che sicuramente ne ha parecchi e gravi) e che la loro azione non è folle: è violenta, guerrafondaia, barbara, cinica, criminale, poco lungimirante, controproducente ecc. ma non folle.

Sì, se un folle inizia a uccidere chiunque gli viene a tiro è giusto ucciderlo (se non ci sono altri mezzi per fermarlo), ma la situazione in Ucraina è diversa: c’è un conflitto con torti e ragioni dall’una e dall’altra parte, per cui va risolto sedendosi intorno a un tavolo e trovando un accordo, non illudendosi di fare fuori “il folle”. Cercare di “fare fuori il folle” porterà solo a un prolungamento della guerra, a una sua possibile escalation fino a una guerra nucleare e a odi e rancori futuri che determineranno altri conflitti e guerre. Se l’Italia e la UE vogliono realmente la pace devono spingere i contendenti a sedersi intorno a un tavolo e convincerli che devono cedere qualcosa all’avversario.

6) La guerra in corso non potrà finire per la sconfitta dei Russi (a meno che non entri in guerra tutta la NATO, la qualcosa causerebbe un guerra mondiale e probabilmente nucleare). Potrà finire solo con un negoziato e crediamo che questo avverrà tanto prima se si realizzano alcune condizioni: 1) se le popolazioni della Russia e dell’Ucraina (e gli altri attori coinvolti/interessati al conflitto, cioè UE, USA, Paesi Europei non allineati, Cina, ecc.) si renderanno conto che i negoziatori devono farsi carico anche delle “ragioni dell’altro” (cioè garantire sicurezza a entrambi, diritti alla minoranza russa dell’Ucraina e alle minoranza ucraina del Donbass, diritto ai cittadini dell’Ucraina di decidere se integrarsi con la UE o con la Russia ecc.); 2) se ci saranno Paesi che possano fungere da mediatori, cioè che abbiano la “fiducia” di entrambi i contendenti; 3) se la continuazione della guerra diventerà sempre più insostenibile (dall’una e dall’altra parte); 4) se si troverà un accordo che non umili nessuno e che compensi le rinunce con delle acquisizioni (così come la rinuncia di Cuba ad avere armi nucleari sovietiche fu compensata dalla rinuncia a un’invasione di Cuba da parte degli USA e dall’eliminazione dei missili Juppiter a testata nucleare in Turchia e Italia).

Da queste premesse deriva che: 1) bisogna operare non per radicalizzare il conflitto e demonizzare il nemico ma per comprendere quali sono le preoccupazioni dell’altro e i propri torti o pretese eccessive e arrivare a un nuovo equilibrio più giusto e pacifico (come diceva Mandela: “Dobbiamo farci carico delle preoccupazione dei bianchi e rassicurarli”); 2) non pretendere che tutti si schierino dall’una o dall’altra parte, che ci siano solo due opzioni, ma ammettere e permettere che vi siano posizioni “terze”; 3) fare in modo che la guerra diventi insostenibile per la Russia (ciò può essere fatto sia con una resistenza violenta che nonviolenta, con le sanzioni, con l’isolamento internazionale, favorendo nel popolo russo l’opposizione alla guerra e a Putin) e insostenibile per l’Ucraina (ciò può essere fatto non fornendo armi, osteggiando il nazionalismo ucraino su cui si basa il potere di Zelensky), contrastando l’arrivo di mercenari.

7) L’Italia e la UE si stanno chiedendo nelle mani di chi vanno a finire le armi che stanno fornendo all’Ucraina? All’esercito regolare ucraino o alle brigate di resistenza armata e alle formazioni di estrema destra e neonaziste? Cioè, in quest’ultimo caso, a coloro che hanno reso impossibile la vita alla minoranza russa e che sono stati tra le cause di questa guerra. Non è che avverrà come nell’Afghanistan invaso dall’Unione Sovietica, quando si armarono i gruppi di resistenza, che erano i più fanatici fondamentalisti islamici, talebani, terroristi? Ci si rende conto che l’Ucraina è un Paese multietnico e multilinguistico (circa il 20% di russi e oltre il 30% di russofoni, e circa un 5% di altre minoranze: ungheresi, moldavi, bulgari, ecc.) e con partiti e gruppi nazionalisti che vagheggiano un Paese monoetnico [1])? Tutte queste armi che stanno arrivando in Ucraina non finiranno per determinare una situazione di guerra civile e/o di oppressione delle minoranze?

8) Il paragone con la Resistenza è del tutto improprio. La Resistenza è nata dopo l’8 settembre, quando era in corso da 3 anni la guerra: non furono l’America o l’Inghilterra a scendere in campo a favore dei partigiani, ma fu una parte (piccola) degli italiani a imbracciare le armi per appoggiare Americani, Inglesi, Francesi, Sovietici. E’ nata quando si è creata la prospettiva di una vittoria sul piano militare (grazie alle forze alleate) e politico (grazie alla perdita di consenso del fascismo a causa della guerra). La strategia, quindi, era quella di favorire le forze alleate con azioni collaterali di disturbo alle forze nazifasciste (e impegnando una parte di tali forze così da distoglierle dal fronte) e di accreditarsi di fronte agli alleati e al popolo italiano come “governo legittimo”. I “partigiani” dal 1920 al 1943 non hanno usato le armi ma hanno solo svolto azioni di tipo non-violento (controinformazione, propaganda, non cooperazione, sabotaggio ecc.). Inoltre la Resistenza ha assunto diverse forme e strategie, tra cui anche (e in maniera del tutto rilevante) forme non-violente (per esempio gli scioperi del 1943-44, i numerosi episodi di non-cooperazione e di sabotaggio, ecc.). Cioè nella Resistenza, oltre a chi imbracciava le armi (per libera scelta e non perché coscritti, come ora avviene per i destinatari delle nostre armi in Ucraina; antifascisti e non fascisti come le milizie ucraine non regolari), v’era un gran numero di persone (probabilmente la maggioranza) che combatteva i nazifascisti in altro modo rispetto a quello di far parte di un “gruppo armato”.

9) L’indignazione contro l’invasione russa è anche la nostra e il desiderio che tale azione gravissima non sia premiata ma punita è anche il nostro. Ma l’indignazione è un sentimento che offusca la razionalità, che spinge al manicheismo (di qui i buoni, di lì i cattivi, e noi, ovviamente, tra i buoni) e che tende a far agire senza individuare tutte le azioni possibili né soppesare le conseguenze di tali azioni. La realtà è sempre complessa e ogni interpretazione di essa che non tenga conto di tale complessità finisce per determinare “guasti”, boomerang, “effetti collaterali”, che potevano essere evitati o ridotti con un’analisi meno semplicistica e manichea della realtà.

Per la guerra Russa-Ucraina ciò significa analizzare quello che è successo precedentemente all’invasione russa, cercando di vedere i fatti che si sono svolti dal punto di vista russo, ucraino, della minoranza russa dell’Ucraina, degli USA, della UE ecc. Se si fa questo non si può non dire: “Chi semina vento raccoglie tempesta”, perché le politiche di gran parte di questi attori non sono state politiche che promuovono la pace ma politiche che favoriscono i conflitti. Non è stata promotrice di pace la politica nazionalista e anti popolazione russa dell’Ucraina (e della Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia), la delegittimazione di chi di volta in volta ha vinto le elezioni da parte dei partiti di opposizione ucraina, l’appoggio dato ai gruppi neonazisti antirussi ucraini, l’allargamento della Nato (rimangiandosi promesse e accordi), l’installazione di missili nucleari in Polonia, il neozarismo di Putin, il riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche a maggioranza russa dell’Ucraina, l’annessione della Crimea ecc.

Galtung, fondatore del “Peace Research Institute” di Oslo, studioso dei conflitti e mediatore in controversie internazionali, diceva che la chiave per risolvere o contenere un conflitto è analizzare e chiamare in causa più componenti possibili, avendo presente l’intera storia dei soprusi e dei bisogni frustrati che sono all’origine del conflitto stesso.

Se ciò è vero per risolvere i conflitti lo è ancora di più per prevenirli.

10) Il fatto che negli ultimi anni oltre un milione di persone abbia lasciato il Donbass per rifugiarsi in Russia non ci pone nessuna domanda?

11) Si dirà: “Sì, ma con tutte le colpe che può avere l’Ucraina, niente giustifica un’invasione e quindi bisogna stare dalla parte degli Ucraini”. Siamo pienamente d’accordo. Ma stare dalla parte di qualcuno non significa accettare acriticamente le sue posizioni o non poter pensare diversamente su quale sia la strategia migliore per tale parte (e per il mondo intero).

Stiamo dalla parte dei Palestinesi, ma non abbiamo mai chiesto di dare loro armi e ci opporremmo se l’Italia lo facesse.

E’ difficile trovare qualcosa di peggio dell’apartheid del Sud Africa e dove la ragione era tutta da una parte. Ma nessuno ha chiesto di mandare armi all’African National Congress e noi non saremmo stati d’accordo.

Anche l’Iraq è stato invaso (da una “coalizione di volenterosi”, di cui faceva parte anche l’Italia), in dispregio a ogni norma di diritto internazionale e propagandando notizie false (la presenza di armi nucleari irachene e la volontà di usarle contro “l’Occidente”), ma nessuno ha chiesto di dare armi agli iracheni (forse è bene ricordare che l’invasione dell’Iraq causò oltre 500.000 morti tra gli iracheni e 4.839 tra gli invasori, di cui 33 tra le truppe italiane: una vera carneficina! [2]),

12) Perché onoriamo Gandhi, Mandela, Martin Luther King se poi irridiamo chi cerca di seguire le loro orme? Tutta la politica di Mandela è basata sul principio “Dobbiamo farci carico delle paure e delle preoccupazioni dei bianchi e rassicurarli”, per questo ha più volte detto: “Ho combattuto contro la dominazione bianca e contro la dominazione nera”. Ci chiediamo: ci si è fatti carico delle paure e delle preoccupazioni dell’altro? No! E malgrado l’Ucraina, la Russia, tutti i Paesi UE, gli USA abbiano firmato la Carta di Instabul (1999) e di Astana (2010), che recita: “La sicurezza di ciascun membro è indissolubilmente connessa con la sicurezza di tutti gli altri. Essi non rafforzeranno la loro sicurezza a scapito della sicurezza di altri Stati”.

Mandela è stato un capo di Stato che ha seminato pace e la pace è germogliata. Altri leader hanno gettato semi di guerra e la guerra è accaduta.

Mandela, Gandhi, Martin Luther King ci hanno dimostrato che ci sono altre strade per resistere all’oppressore e per combattere, strade non solo più etiche ma, secondo noi, anche più efficaci.

13) “E allora restiamo a guardare?” Ci rendiamo conto che per molti “dare armi” è un modo per stare vicino alle vittime, per non stare con le mani in mano di fronte a questa aggressione e a questa tragedia. In realtà non si può non essere d’accordo che è sempre meglio non fare niente che fare qualcosa di negativo e che prima di prendere una decisione (soprattutto una così grave) è bene ponderare i pro e i contro. Per cui bisogna riflettere se inviare armi non abbia effetti negativi e se ci sono alternative che possono conseguire risultati con meno effetti negativi.

Di fronte a un’invasione si può schierare l’esercito e fare una battaglia campale o si può attuare una strategia più di “guerriglia”. La prima scelta è stata scartata dall’Ucraina perché avrebbero perso immediatamente, mentre la seconda sta mettendo a dura prova la Russia. Una volta la guerriglia veniva vista come una strategia da codardi, oggi non è più così perché si è visto che in molte situazioni è più efficace e fa meno perdite di una battaglia campale. A un’invasione si può reagire anche in maniera non-violenta: con sabotaggi, disobbedienza civile, scioperi, manifestazioni, non cooperazione, ecc. La Danimarca e la Norvegia così hanno reagito all’invasione nazista, la Cecoslovacchia così reagì all’invasione sovietica. In Italia gli scioperi del 1943-44 dettero un duro colpo al regime nazifascista. Una tale strategia causa pochissimi morti, può ottenere risultati (in Danimarca pochissimi ebrei furono internati e il potere nazista non riusci a imporsi come in altre nazioni) e causa divisioni nel nemico, erodendo il consenso delle sue classi dirigenti da parte della popolazione.

I nonviolenti ucraini questo hanno chiesto ai loro concittadini e questo stanno cercando di organizzare, sono inoltre favorevoli a una Ucraina neutrale, rispettosa di tutte le minoranze e che metta al bando e contrasti tutti i gruppi armati. Pensano che sia la maniera migliore per accelerare l’inizio delle trattative e arrivare velocemente a un accordo soddisfacente.

Noi dobbiamo e possiamo fare qualcosa: dobbiamo chiedere al nostro Governo di non inviare armi e di fare pressioni perché Zelensky accetti le principali richieste della Russia (neutralità, no a basi militari straniere, garanzie per i diritti degli ucraini russi, messa al bando dei gruppi armati nelle regioni a maggioranza russa) e perché Putin non abbia pretese di annessione di parti del territorio ucraino e di interferenza nella politica interna di un altro Stato; dobbiamo pretendere che la RAI dia un’informazione veritiera e pluralista; possiamo informarci su “fonti non belliciste” (Manifesto, Avvenire, Peacelink, Pressenza ecc.); possiamo fare opera di controinformazione, promuovere atteggiamenti meno emotivi e più razionali, meno bellicosi e più pacifici, meno manichei e più improntati al principio di fraternità.

Qualche persona ha chiuso i rapporti con l’Associazione Marco Mascagna dopo il messaggio n° 4 del 6 marzo che trattava questo argomento. Ciò ci ha molto rattristato. Ci chiediamo: è questo un segno dell’idea di “libertà di pensiero” che abbiamo? Un segno della disponibilità al dialogo? Possibile che chi non “si arruola” con la posizione del Governo venga considerato un nemico e un traditore con cui non si deve avere niente a che fare?

La condanna dell’invasione russa è unanime e crediamo che lo sia anche la volontà di trovare una soluzione. Si sta solo discutendo dei mezzi per raggiungere ciò. Non dimentichiamolo.

Note:  1) si veda la cartina di Limes https://www.limesonline.com/ucraina-divisioni-linguistiche-ed-etniche/60932; 2) https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in_Iraq#Le_perdite_della_coalizione

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