Già da qualche anno, in Italia sembrano essersi risvegliati i sostenitori dell’energia nucleare, nonostante due referendum abrogativi tenuti nel 1987 e nel 2011 e approvati a larga maggioranza. A più riprese, viene annunciato pubblicamente che l’entrata in esercizio entro pochi anni di impianti basati su nuove tecnologie nucleari sostenibili in corso di sviluppo, con i più elevati standard di sicurezza e sostenibilità, “si propone come una soluzione strategica per la transizione energetica e la decarbonizzazione in Italia”.
In Aprile il ministero dell’Ambiente ha pubblicato i “rapporti conclusivi” della Piattaforma Nazionale per il Nucleare Sostenibile (PNNS), istituita col Dm 16 novembre 2023: i documenti chiariscono in primo luogo che l’orizzonte della progettualità nucleare va ben oltre l’orizzonte operativo del Governo in carica e si stima che il quadro legislativo d’indirizzo possa essere completo solo a fine 2027, mentre l’orizzonte per lo smantellamento delle vecchie centrali nucleari – stima la Sogin(la società che ha in carico il cosiddetto “decommissioning” degli impianti italiani) – arriva al 2052 con costi attualmente previsti a 11,38 miliardi di euro. Per le nuove centrali nucleari a fissione, argomenta invece la PNNS, si parla del 2036 per quanto riguarda i piccoli reattori modulari (Smr) che al momento non sono ancora sviluppati a scala commerciale, mentre per i reattori modulari avanzati (Amr) di quarta generazione, “attualmente in fase dimostrativa e prototipale”, l’orizzonte si sposta al 2040. Infine la speranza della fusione nucleare, quella su cui insiste la Presidente del Consiglio, viene individuata come concretizzabile alla metà del secolo, ovvero quando il nostro Paese avrà già dovuto raggiungere la neutralità climatica: l’obiettivo finale è «di costruire i(l) primo(i) reattore(i) a fusione in Italia attorno al 2050».
È evidente che il cittadino, di fronte a queste palesi contraddizioni e ad un dibattito pubblico sul tema della produzione di energia inquinato dalla confusione (a volte introdotta deliberatamente) tra soluzioni innovative a lungo termine e adattamenti migliorativi di vecchie tecnologie, è completamente disorientato, anche tenendo conto del fatto, ignorato nei documenti ufficiali, che il confine tra uso pacifico ed uso militare del materiale nucleare è attualmente molto labile. In questa newsletter cercheremo, senza alcuna pretesa di completezza, di fornire elementi utili a formarsi un’opinione sulla base dei dati disponibili, partendo dai dati sui consumi energetici e la produzione di energia da diverse fonti.
Oggi nel mondo, in un anno, vengono “consumati[2]” circa 180.000 TWh[3] (1.650 in Italia) di energia “primaria” (l’energia disponibile da tutte le fonti energetiche utilizzate) che equvalgono a circa un decimillesimo dell’energia che arriva sulla Terra dal Sole, il che vuol dire che ciascun abitante del pianeta “brucia”, in media, cinquantamila chilocalorie in un giorno: tenendo conto che l’energia “esosomatica” che il nostro corpo produce per muoversi e sollevare pesi corrisponde a circa 400 kcal, è come se ciascuno di noi avesse 125 schiavi che lavorano per lui (naturalmente, come per il pollo di Trilussa, solo in media).
Le 450 centrali nucleari funzionanti nel mondo producono il 4% dell’energia primaria, ovvero il 9.1% dell’energia elettrica. In Italia, le quattro centrali nucleari di Trino, Latina, Garigliano e Caorso sono state arrestate dopo il referendum del 1987 e sono attualmente in fase di smantellamento: i costi e i tempi per queste operazioni erano stati stimati in 4.5 Mld € entro il 2020, poi aggiornati numerose volte fino agli 11.38 Mld € e la “seconda metà del prossimo decennio“ dichiarati da Artizzu, presidente Sogin[4]. Si può calcolare che se tutta l’energia prodotta dalla centrale del Garigliano fosse stata venduta al prezzo di oggi, avrebbe fruttato circa 2.5 Mld €.
Tutto ciò riguarda i primi settant’anni dell’era nucleare, e oggi molte delle centrali nucleari in esercizio nel mondo hanno raggiunto o superato la fine del loro ciclo di vita, producendo circa 30 milioni di m3 di scorie radioattive[5] di cui è stato stimato che l’80-90% dei rifiuti di livello basso e molto basso è stato smaltito, mentre tre milioni di rifiuti di livello intermedio e alto (29000 m3 per questi ultimi, che necessitano di un più grande grado di contenimento e isolamento dall’ambiente accessibile per la sicurezza a lungo termine, centinaia di migliaia di anni) sono ancora immagazzinati presso gli impianti che li hanno prodotti, in attesa di essere smaltiti a una profondità geologica con barriere ingegnerizzate a causa delle lunghe vite medie dei radionuclidi che li compongono e della importante dissipazione del calore prodotto dalla radioattività. A tutt’oggi, nel mondo un solo deposito geologico è recentemente entrato in funzione, ad Onkalo (Finlandia), mentre in Italia si è ancora in attesa che venga selezionato il sito per la sua costruzione, tra quelli indicati nella “Carta Nazionale delle Aree Idonee” predisposto dalla Sogin.
Per venire ai giorni nostri e all’immediato futuro, sotto la pressione dell’opinione pubblica derivante dalla percezione (purtroppo ormai molto tardiva) della gravità della crisi climatica dovuta all’emissione in atmosfera di enormi quantità di gas clima-alteranti, i governi dei paesi industrializzati, piuttosto che indirizzare i propri modelli di sviluppo verso soluzioni sostenibili basate sull’adozione di stili di vita sobri ed improntati al risparmio energetico, inseguono scorciatoie per la cosiddetta “transizione energetica” basate sul “nuovo nucleare”. La produzione di energia da fissione (si specula anche sulla confusione tra impianti a fissione e supposti prossimi impianti a fusione, in realtà ancora a livello di esperimenti dimostratori di fattibilità) è infatti considerata una fonte energetica non rinnovabile ma alternativa (ai combustibili fossili) in quanto durante l’esercizio non produce gas serra.
In particolare, in Italia è partita la lunga procedura tesa, nelle intenzioni del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima PNIEC) a “stabilizzare la produzione di energia da fonti rinnovabili” con una quota dell’ordine del 10% dal nuovo nucleare, concorrendo così agli obiettivi di decarbonizzazione necessari a fronteggiare il cambiamento climatico. I sette gruppi di lavoro della PNNS, coordinati da Giovanni Guzzetta, professore di Diritto costituzionale, hanno posto al centro il loro “trilemma dell’energia nucleare”, ovvero sicurezza (declinata più sotto il profilo della sicurezza degli approvvigionamenti che sotto quello tecnico-scientifico), sostenibilità (vista in una prospettiva di medio periodo, in contrasto con la crescente urgenza della crisi climatica in atto), competitività dei prezzi (nonostante le grandi incertezze sui costi che ancora caratterizzano le soluzioni innovative prospettate, ancora in fase di sperimentazione, anche se presentate come pronte a breve termine).
Nessun accenno viene fatto all’aspetto che forse è il più rilevante: la produzione di energia nucleare per uso pacifico implica conoscenze e materiali di interesse militare. Alcuni paesi hanno cercato di dissimulare come sviluppo di nucleare civile il tentativo di produrre armi nucleari (i cosiddetti “stati canaglia”). All’inizio del 2023 gli arsenali nucleari nel mondo comprendevano 1245 tonnellate di Uranio altamente arricchito e 560 tonnellate di Plutonio “weapon grade”; 22 paesi operano impianti di arricchimento dell’Uranio o di separazione del Plutonio dal combustibile spento dei reattori[6]; entrambi queste attività sono associabili a scopi bellici o terroristici. È stato valutato[7] che nell’ultimo anno sono avvenuti 146 incidenti di attività illegali o non autorizzate riguardanti materiali nucleari ed altri materiali radioattivi (4075 incidenti dal 1993[8]. Sulla base del trattato di non proliferazione nucleare (TNP), entrato in vigore nel 1970, sono considerati ufficialmente “Stati con armi nucleari” quegli Stati che detengono ordigni nucleari da prima del 1º gennaio 1967: Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina. Oltre a questi, altri quattro Stati, non aderenti al TNP, hanno sviluppato e sono in possesso di armamenti nucleari (“i 5+4”): India, Pakistan, Corea del Nord e Israele (sebbene il governo israeliano non abbia mai confermato ufficialmente di possedere un arsenale nucleare). Globalmente, questi Stati detengono più di 12000 testate nucleari.
Lo sviluppo dell’energia nucleare per scopi pacifici, dal dopoguerra, è convenzionalmente inquadrato in quattro generazioni, di crescente livello di affidabilità e sicurezza. Il “vecchio nucleare” è costituito dai primi prototipi di reattori della generazione I, dai reattori di potenza commerciali della seconda generazione, e da quelli “avanzati” della generazione III, per la maggior parte raffreddati ad acqua (bollente o pressurizzata), in cui la sicurezza è garantita da sistemi “attivi”, operati cioè manualmente o da meccanismi automatizzati; in caso di malfunzionamento di questi ultimi o di eventi naturali avversi, l’arresto del sistema di raffreddamento può portare alla fusione del nocciolo del reattore, considerato l’incidente più grave possibile (come a Three Mile Island nel 1979, a Chernobyl nel 1986 e a Fukushima nel 2011). L’orizzonte futuro è meno fosco, sia da questo punto di vista che da quello della “resistenza alla proliferazione”, con lo sviluppo dei reattori di Generazione IV, spesso chiamati “intrinsecamente sicuri” in quanto progettati per spegnersi automaticamente in caso di emergenza, grazie a sistemi passivi che non richiedono l’intervento umano o l’alimentazione elettrica esterna, e per la maggior parte sono raffreddati con fluidi diversi dall’acqua. Sulla base di ricerche tecnologiche avanzate i reattori di IV generazione promettono anche di poter “chiudere il ciclo del combustibile”, bruciando cioè le scorie prodotte ed anche le scorie di altri reattori convenzionali che possono essere aggiunte al combustibile (il cosiddetto MOX). Un’altra potenzialità importante è la “non weaponization”, cioè la prospettiva di utilizzare un combustibile – basato sulla “fertilizzazione” del Torio[9], materiale in natura più abbondante dell’Uranio – che non produce materiale fissile utilizzabile a fini militari. Una variante dei reattori di generazione IV sono gli Advanced Modular Reactors (AMR), che sono impianti modulari di dimensioni più piccole di quelli esistenti e offrono il vantaggio di essere progettati per essere costruiti in fabbrica e assemblati in loco, potenzialmente riducendo così costi, tempi e complessità dei cantieri tradizionali.
In attesa che i progetti di ricerca precompetitiva e industriale in corso, anche nel nostro paese, portino alla piena operatività di queste prospettive interessanti su una scala temporale che si misura in decenni, lobby industriali e politici spregiudicati fanno intravedere nel futuro prossimo una possibilità concreta per produrre energia nucleare a basse emissioni come elemento del “mix” di produzione per sostenere la transizione energetica. In particolare vengono spacciati per impianti di nuova generazione prossimi all’allacciamento alla rete reattori che in realtà sono di generazione detta III+, in quanto modernizzazioni di reattori tradizionali: da un lato impianti di grossa taglia (EPR e AP100) che hanno richiesto tempi e costi di costruzione da due a tre volte quelli preventivati, e dall’altro versioni raffreddate ad acqua degli AMR (detti pudicamente Small Modular Reactors, SMR) ancora in fase di sviluppo.
Dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro che, mentre da un lato scienziati e tecnici lavorano seriamente a rendere concrete prospettive interessanti e dall’altro la politica affronta il problema dell’assenza del necessario quadro normativo per farle funzionare (che comunque prenderà due-tre anni), l’opinione pubblica si trovi coinvolta in un dibattito inquinato dalla confusione (a volte introdotta deliberatamente) tra soluzioni innovative a lungo termine e adattamenti migliorativi di vecchie tecnologie. In ogni caso, alcuni punti fermi possono farci orientare:
- L’uso pacifico dell’energia nucleare (da fissione o da fusione) è certamente una fonte energetica (non rinnovabile) che non produce gas serra durante l’esercizio
- La valutazione del costo per unità di energia prodotta non ha tenuto conto in passato, e rischia di non farlo in futuro, dei costi sociali e dei costi di smantellamento
- Non è stata a tutt’oggi trovata una soluzione adeguata e socialmente accettabile per il confinamento a lunghissimo termine delle scorie.
- Rendere la fusione un processo che si autosostiene e produce stabilmente più energia di quanta ne consuma è possibile se si confina il “plasma” ad altissima temperature, che è da 70 anni l’obiettivo della ricerca. In un futuro “non molto prossimo” la fusione nucleare sarà probabilmente la soluzione definitiva ai problemi energetici dell’umanità
- Lo sviluppo di tecnologie nucleari (a fissione o a fusione) che riducano a livelli accettabili i rischi di incidenti e/o contaminazioni (nucleare pulito e intrinsecamente sicuro) non è ancora maturo e non lo sarà entro il tempo necessario per l’adozione di misure urgenti che affrontino la crisi climatica in atto. In ogni caso I reattori di generazione IV saranno, una volta ingegnerizzati, il necessario complemento alle fonti rinnovabili nei prossimi decenni.
- Il confine tra uso pacifico ed uso militare del materiale nucleare è attualmente molto labile
[1] Il Sole 24 h, 1/3/2025
[2] In realtà l’energia non viene consumata, ma solo trasformata da una forma ad un’altra e/o trasferita da un serbatoio a un altro
[3] Energy Institute 2024
[4] Intervista al Sole 24h del febbraio 2025
[5] Status and Trends in Spent Fuel and Radioactive Waste Management, IAEA Nuclear Energy Series No. NW-T-1.14 (Rev. 1) (2022)],
[6] International Panel on Fissile Materials, Aprile 2024
[7] news.un.org/en/story/2025/02/1160656
[8] IAEA Database on Trafficking of Nuclear and Other Radioactive Material Records.
[9] È di questi giorni la notizia che in Cina è stato testato un primo prototipo di unità di ricerca da due megawatt progettata per utilizzare sali fusi come combustibile e refrigerante